Taste Alto Piemonte 2018
Timidi e nebbiosi incontri ravvicinanti
C’è un Piemonte che non ama mettersi in mostra, ci sono valli profonde, spigolose colline e severe montagne che in pochi hanno la fortuna di conoscere. A Novara, nel centralissimo Castello Visconteo, dal 24 al 26 marzo il Consorzio per la Tutela del Nebbiolo dell’Alto Piemonte ha organizzato un imperdibile banco d’assaggio per far conoscere il territorio dell’Alto Piemonte proprio attraverso il suo fiore all’occhiello, il Nebbiolo. Taste Alto Piemonte è quindi occasione per appassionati – e non – di degustare tanti vini nobili e prestigiosi, ma soprattutto di comprendere la natura delle colline su cui nascono, la storia delle cantine dove invecchia e la tempra di chi lo produce, spesso da più di una generazione.
L’Alto Piemonte, tra le provincie di Biella, Vercelli, Novara e Verbania, vanta infatti alcune tra le più prestigiose DOC italiane come Ghemme, Gattinara, Bramaterra, Lessona e Boca, tutte sapienti espressioni della vinificazione del Nebbiolo.
Originario forse della Valtellina, il Nebbiolo affonda le sue radici in Piemonte fin da tempi antichissimi, prediligendo il clima fresco, le estati brevi e le elevate escursioni termiche. Il Nebbiolo infatti non si può certo definire un vitigno facile da coltivare, quasi regalasse le sue qualità uniche solo in cambio di una grande dedizione e cura in vigna. Una lunga evoluzione, fatta di tentativi, errori e successi agronomici, ha portato nel tempo a disegnare le zone vocate alla coltivazione di questo gioiello ampelografico che oggi viene considerato infatti il vitigno autoctono per eccellenza, ancora oggi di difficile esportazione nei vigneti d’oltreoceano.
Affascinante e ancora misteriosa è anche la storia del nome Nebbiolo che non solo rimanda subito alla nebbia densa in queste valli al momento della sua vendemmia a fine ottobre, ma sembra piuttosto derivi dall’abbondante pruina che ricopre i suoi piccoli acini a piena maturazione dando un effetto annebbiato al grappolo, o forse dalla parola nobilis in riferimento ai vini derivanti dalla sua lavorazione.
Un vitigno unico, che è sempre sinonimo di eleganza, corposità e longevità e che a Taste Alto Piemonte mostra le sue mille sfaccettature derivanti dal terroir di coltivazione e dalla mano di chi lo lavora, e di mani esperte ne ho conosciute tantissime durante la mia visita.
A partire da quelle di Guido Platinetti a Ghemme di cui ho assaggiato la giovanissima Vespolina, dalla beva diretta, quasi estiva, il suo nebbiolo base (di cui vi ho già raccontato qui) e finalmente il suo Ghemme, affinato oltre 36 mesi in botti di rovere di slavonia e almeno 9 mesi in bottiglia: frutto ancora vivo e pieno, aromi terziari bilanciati e morbidi, tannino avvolgente che, come giusto, chiama un succulento stracotto di carne. E non è finita qui, a sorpresa Andrea, il vignaiolo, mi ha versato un assaggio della mitica annata 1997, 21 anni portati con grazia ed eleganza.
A Gattinara invece mi hanno colpito la passione e l’innovazione di due giovani vignaioli. Luca Caligaris con la naturale pulizia del suo Gattinara 2012 e con il racconto del progetto intrapreso qualche anno fa insieme ad altri due amici vignaioli rinominato Quat Gat. E Marco Arlunno che, se con una mano porta avanti la tradizione vitivinicola dell’azienda di famiglia Mirù a Ghemme, con l’altra, a Gattinara, da vita all’azienda Il Chiosso dove fantasia ed esuberanza si trasformano in vini di grande personalità. Buonissima la sua cru di Gattinara “Galizia”.
Poco lontano, nel comune di Cavallirio, sono invece le mani femminili di Silvia a curare i grandi vini della cantina Barbaglia, conosciutissimo il suo Boca affinato in rovere per 24 mesi, si conferma di un’estrema eleganza, ma è la sua Vespolina in purezza Ledi, grazie forse alla leggera tostatura data da circa sei mesi in legno a stupire.
Super naturale invece è la versione del Boca per le sorelle Conti di Cantina del Castello a Maggiora che inoltre mi raccontano come il loro progetto di salvaguardia dell’antica tecnica di coltivazione della maggiorina di cui vi raccontavo tempo fa prosegue grazie alla progressiva “annessione” di parcelle semi-abbandonate di vecchi viticoltori della zona. Per me, dovrebbero essere patrimonio dell’UNESCO ad honorem.
Forse però non sapete che un vero patrimonio dell’UNESCO in Alto Piemonte però esiste già ed è il Super Vulcano della Val Sesia risalente a 300 milioni di anni fa e riportato in superficie durante i movimenti tellurici che hanno portato alla formazione della catena montuosa della Alpi. Comuni come Boca, Maggiora, Ghemme e Gattinara si trovano proprio all’interno dell’antichissima caldera del vulcano e questo arricchisce di preziosa mineralità i vini di questo territorio.
Spostandoci verso il Biellese, nel comune di Vigliano, da un lato sono rimasta colpita dalla poesia del nebbiolo di Villa Era prodotto in un vigneto di meno di un ettaro custodito all’interno del parco della villa stessa, dall’altro dalla voglia di sperimentare dei loro “vicini di casa” i vignaioli di Castello di Montecavallo da cui mi aspetto grandi novità in futuro e quel tocco di follia che mi piace. Sempre in queste zone ottimi sono i nebbioli della settecentesca Cascina Preziosa coltivati in regime biologico e con grande attenzione alla tradizione fin alle etichette che sono riproduzione di alcuni originali risalenti a circa due secoli fa. Anche nei vini di un’altra cantina si sente subito, al naso e in bocca, la loro attenzione verso lavorazioni naturali in vigna e in cantina, si tratta di Colombera&Garella a Masserano di cui mi ha colpito in particolar modo il Bramaterra. Ancora molto interessante l’assaggio dei vini di Centovigne, in particolare il loro Rosso della Motta dalla splendida beva.
Nella lingua più a Nord dell’Alto Piemonte c’è quindi la DOC Valli Ossolane che più di tutte paga la profonda riduzione dei terreni vitati a partire dagli anni 70. Con cura e passione sartoriale Cantine Garrone ha ricucito insieme i pochi fazzoletti vitati ancora presenti ai piedi del Monte Rosa ottenendo un tessuto unico di vino e vita che trova la massima espressione nel Prunent, il nebbiolo simbolo della Val d’Ossola, ottenuto da vigne antiche, alcune ancora a piede franco.
E se leggendo fino a qui pensate che Alto Piemonte sia solo vino rosso, beh, un po’ vi sbagliate, perché ho potuto assaggiare due belle spumantizzazioni, una di Chardonnay per la cantina Roccia Rossa, molto morbida e rotonda, e una di Nebbiolo Rosè per la Cantina del Signore che vince per acidità e nota mandorlata che chiamano un bicchiere dopo l’altro.
Infine, è tempo di parlarvi dell’altro grande autoctono di questa zona, l’Erbaluce, così chiamato in antichità per la luminosità del suo grappolo e che, dopo la nascita della DOC Erbaluce di Caluso, non può più essere commercializzato in questi comuni con il suo nome, ma solo con nomi di fantasia. Non a caso cantina Filadora a Mezzomerico sceglie di imbottigliarlo sotto il nome di La Contesa, a sottolineare l’eterna tenzone attorno alla paternità di quest’uva, che si presenta giallo paglierino brillante, con tanta frutta al naso e corpo avvolgente e acidità equilibratissima. Bella la versione passita di Cantina il Roccolo di Mezzomerico che si sposa alla perfezione con del gorgonzola piccante.
E se tutto questo non bastasse ho trovato molto invitante lo spazio dedicate alle eccellenze gastronomiche del territorio allestito nel piano interrato. Menzione speciale va all’azienda agricola Rizzoti e al progetto di recuperare la coltivazione della qualità di riso autoctona novarese Razza 77, abbandonata attorno agli anni 70 a causa delle sue basse rese.