Tenuta Venturini Baldini
Un lungo viale costeggiato da interminabili cipressi ordinati fa da ingresso alla grande Tenuta Venturini Baldini, a Roncolo di Quattro Castella in provincia di Reggio Emilia. Un accesso antico ed elegante a simboleggiare il profondo legame dell’azienda con la tradizione e con la storia di cui la tenuta fa parte.
Infatti, la villa all’interno della tenuta, risalente al 1500, ancora custodisce gli antichi fasti delle tante famiglie nobiliari di cui fu dimora, fino ai Marchesi Monodori nell’800.
Nata nel 1976, l’azienda Venturini Baldini si estende per un totale di 130 ettari, di cui circa 30 vitati, ai piedi delle colline reggiane, una zona particolarmente vocata, grazie all’abbondante vegetazione capace di mitigare i gran caldi estivi e favorire le escursioni termiche tra notte e giorno.
Certificata in biologico fin dagli anni ‘80, ancora oggi in tenuta la vendemmia è interamente compiuta a mano e, a favore di un’agricoltura non intensiva, la produzione si è assestata sulle 100.000 bottiglie pur avendo una capacità produttiva di molto superiore.
È nella prima fascia collinare, attorno ai 150 metri d’altitudine, che si sviluppa la maggior parte della produzione. Percorrendo il viale e avvicinandosi alla tenuta, si perde il conto dei tantissimi filari che si incontrano con lo sguardo, interamente dedicati alla coltivazione di vitigni autoctoni, tipici dell’area del Lambrusco e dei Colli di Canossa e Scandiano, ancora a rimarcare il forte legame con la tradizione vitivinicola della zona.
Ma non è tutto, facendosi accompagnare in fuoristrada oltre boschi, radure e laghetti, si sale fino ad arrivare a quasi 400 metri di altitudine, dove lo scenario cambia radicalmente rispetto alla pianura. Ripidi e fitti vigneti dedicati alla coltivazione di alcune varietà internazionali, come Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, dove l’accentuata escursione termica e il terreno in pendenza, a favorire lo scolo delle acque piovane, contribuiscono ad esaltare al meglio le proprietà di queste uve fuori zona.
E se il vino non fosse tutto? L’Emilia è una terra ricca, l’unica in cui si possa produrre l’aceto balsamico nelle due denominazioni dedicate, di Modena e di Reggio. Così all’interno del sottotetto della villa è custodita con orgolgio una delle acetaie più antiche della regione, risalente al XVII secolo. 400 piccole botti dal ginepro al rovere, dal ciliegio al frassino al castagno come scrigni dal valore inestimabile riposano nell’umida semioscurità. Un’esperienza emozionante per chi non ne avesse mai vista una, un respiro di storia, un viaggio nel tempo, un aroma difficile da dimenticare.
Funzionale e curata anche la sala degustazione dove ho potuto assaggiare i prodotti di tanto lavoro e dedizione a un territorio e alla sua storia.
Sei vini, sei interpretazioni, dal classico all’innovativo, tutti in metodo charmat tranne due.
Ad aprire è stata una Malvasia di Candia frizzante, Graniers, morbida interpretazione di questo versatile vitigno aromatico. Naso ricco e fruttato lascia spazio a un sorso invece mediamente secco e ideale per l’aperitivo e per l’abbinamento con salumi e formaggi.
Per chi cercasse invece un calice più affilato e diretto, sia al naso che in bocca, e con mineralità accentuata, non rimarrà certo deluso da Cadelvento, lambrusco sorbara quasi in purezza, irrobustito solo da una piccola parte di Grasparossa. Vino sorprendente fin dal leggero colore buccia di cipolla fino all’eleganza con cui sprigiona il suo carattere.
Passando ai rossi la degustazione si è concentrata su 3 diverse interpretazioni del lambrusco.
Il Marchese Manodori, dedicato all’ultimo nobile inquilino della villa, è un blend di lambruschi marani, maestri, salamino e grasparossa. Speziato e fruttato e con un tannino vibrate chiama abbinamenti con carni grasse e sapori decisi.
Le medesime varietà sono anche impiegate per il vino più rappresentativo per l’azienda, Rubino del Cerro. Un lambrusco complesso, ma più morbido ed armonico del precedente. La spezia anche qui sempre presente sostiene ed esalta un frutto molto più spiccato e maturo che rende il sorso avvolgente e incredibilmente persistente.
Infine, il RES, Lambrusco Montericco, in cui la vinificazione e la presa di spuma è eseguita con il metodo ancestrale della rifermentazione in bottiglia: “sur lì” come dicono in Emilia. Un lambrusco decisamente più fruttato, fresco e croccante rispetto ai precedenti, più facilmente abbinabile anche a un aperitivo a base di gnocco fritto e salumi.
Ultimo è stato “lo straniero”, il loro metodo classico, 30 mesi sui lieviti capace di far arrossire molti fratelli d’oltralpe per patrimonio olfattivo, fragranza, equilibrio e persistenza. Quaranta, uno vino perfettamente riuscito che vi consiglio di assaggiare alla cieca!
Finisce così la mia visita a quest’oasi di pace che è stata per me una passeggiata di storia, natura e gusto. Un’azienda grande ma che mi ha convinto grazie all’eccellenza dei vini e al rispetto impiegato sul territorio e all’onestà in ogni fase della produzione.
Un ringraziamento speciale a Dante che ci ha accolto e accompagnato con grande simpatia.
Un bel racconto di un pezzo di mondo che sta facendo sempre meglio