Emilia Sur Lì 2019

Emilia Sur Lì 2019

Luglio 18, 2019 0 Di lasecondadolescenza

Con un incredibile ritardo arrivo a raccontarvi cosa è capitato e cosa mi sono bevuta durante l’ultima edizione di Emilia sur Lì.

Una splendida festa per incontrarsi, per abbracciarsi, per ricordarsi che bere vino è bello, se poi è emiliano ed è naturale diventa ancora più facile volersi bene. Lo spirito di Emilia sur Lì è tutto qui, partire dalle persone, dai vignaioli ma anche da chi il vino lo beve, per promuovere la tradizione del vino rifermentato e darne una lettura contemporanea ed etica.

Un sole cocente ha caratterizzato la tradizionale festa dei rifermentati emiliani. Dopo l’edizione a San Polo d’Enza nel 2018 (ve la racconto qui!!) quest’anno Emilia sur Lì ha trovato una location nuova, la corte dell’Antico Podere Emilia a Coviolo a pochi passi dalla cantina di uno dei fondatori dell’associazione Emilia sur Lì, Denni Biny di Podere Cipolla. L’impatto all’arrivo è stato catartico, un cortile gremito di persone e animali dove il tempo sembrava essersi fermato per lasciare che la riprenda i giusti ritmi, scanditi dall’alba e dal tramonto.

Così ho preso in mano il calice e mi sono buttata in abbracci, saluti e assaggi.

 

 

Tra i nomi dei vignaioli presenti è spuntata quest’anno qualche novità. Per cominciare ho potuto riassaggiare i lambruschi di Podere Sotto il Noce (ve ne ho già parlato qui, ricordate?) , azienda agricola modenese gestita da Max. Seguendo i principi della biodinamica i vini di Max per me esprimono a pieno l’equilibrio e l’armonia che è fondamento di queste pratiche agronomiche. Vini frizzanti dalla spiazzante eleganza, senza una nota fuori posto. Vini capaci di sedere accanto a nomi blasonati e anche di fargli uno sgambetto se necessario.

Due delle novità invece arrivano direttamente dalla scuola “crociana” e hanno presentato a Emilia sur Lì la loro prima annata. Distina è il progetto di Claudio, che ai ritmi frenetici e antiumani di Milano ha preferito la campagna di Castell’Arquato dedicandosi alla viticoltura di circa 3 ettari e imbottigliando un bianco a base Malvasia Ambra (per curiosità potete leggere qui) e un rosso a base Gutturnio Bason. Vini carichi e grintosi con etichette bellissime che si ritrovano anche sulle bottiglie di grappa che Claudio produce in purezza dalle vinacce di Malvasia, Ortrugo e Gutturnio.

Anche a Roberto di La Poiesa quattro mura di un ufficio sono sembrate un po’ claustrofobiche e, dopo gli studi, è tornato alla campagna di Carpaneto Piacentino e all’azienda agricola dei suoi bisnonni. E il suo Burbero, Ortrugo in purezza macerato sulle bucce per 2 settimane in vasche di cemento ha tutto il gusto del suo riscatto e del suo futuro.

E tanta è stata la voglia di cambiare vita e darsi una seconda opportunità anche per Federico di Strada del Casalino, piccola azienda familiare reggiana sulla prima collina di Canossa. Il loro Brigata Allegra è un rosso fermentato in bottiglia, come da tradizione, che mi ha convinto per semplicità e immediatezza. Una realtà giovane, ancora acerba, per questo con grandi margini di miglioramento e che muove con simpatia i suoi primi passi.

Passando ai soliti sospetti rifermentatori già ben noti alla questura, è stata per me tappa obbligata quella da Podere Magia. Una cantina che già dal nome lascia immaginare le abilità di Stefano nel miscelare natura e esperienza nel creare vini così semplici e così buoni che un po’ di magia da qualche parte ci deve essere davvero. O forse la magia è quella di amare quello che si fa e fidarsi del proprio istinto lasciando che la pianta in vigna prima e il mosto dopo facciano tutto da sè. Da non perdere la nuova annata di Malvasia morbida e sorniona, da bere a giorni alterni al suo Lambrusco Maestri, selvatico e aspro per avere l’Emilia in casa ogni giorno. Per il saperne di più sulla sua spergola invece leggete qui!

Sempre tra i ben noti voglio dedicare qualche riga ai due rifermentati di Betta Montesissail Bonissima e il Rosissima. Il primo, blend di Malvasia e Ortrugo, grazie alla macerazione si arrichisce di un carattere e di una profondità suoi proprio, il secondo invece, salasso di Barbera e Bonarda si fa elegante nobildonna per sognanti tramonti piacentini. Ma la vera sorpresa è il suo Rio Mora, blend di Barbera, Bonarda e altre varietà rosse autoctone, che mi colpisce per freschezza e cremosità che non pensavo fossero possibili con queste uve. Ma si sa che la mano di una donna può fare sempre miracoli.

 

A un anno di distanza invece ho trovato completamente rinnovate le etichette de Il Farneto che ironizzano sulle bollicine dei nostri cugini d’oltralpe ritraendo un alticcio Re Sole e una scapestrata Mary Modena . Infatti, accanto a due sur li tradizionali, il Frisant Bianco e il Frisant Rosso capisaldi dell’azienda nata negli anni ‘90 dalla passione di Marco, ex industriale, per il vino biodinamico, Il Farneto porta all’assaggio la sua interpretazione reggiana del metodo classico lasciando riposare sui propri lieviti per 36 mesi lo Chardonnay e l’autoctona Spergola. Con Brut Nature il risultato è elegante quanto gustoso, un vino gastronomico e accattivante.

E questo non certo è l’unico metodo classico nascosto tra tanti lieviti indigeni in bottiglia. Penso ad esempio al Nina di Ferretti, dedicato alla piccola bimba della famiglia che, sbucando da sotto il banchetto, orgogliosamente mi indica la bottiglia che porta il suo nome. In questo caso ad affinare per almeno 6 mesi sui propri lieviti è l’uva Fortana, piccolo spettacolo della biodiversità italiana che grazie alla sua adattabilità ai suoi sabbiosi ancora oggi è coltivata a piede franco. Un rosè originale e curioso.

Ai piedi dell’Appennino reggiano invece si trova l’azienda Quarticello incarnata nella persona di Roberto, viticoltore e oratore di vini onesti, naturalissimi e di forte impatto. Tra i tanti vini proposti quello che ha avuto su di me l’impatto più forte è stato il rifermentato di Lambrusco Salamino Ferrando. Infatti, ho trovato un bellissimo equilibrio tra naso fruttato e corpo asciutto e verticale che rende la bevuta di questo vino di una estrema piacevolezza. Uno di quei vini che saresti in grado di bertene da solo una bottiglia, ed è un gran pregio.

Stop obbligato anche quello presso le due aziende bolognesi presenti per sedare la voglia di bere ogni tanto un Pignoletto come Dio comanda. Ed è subito l’azienda XII notte di Maria Bortolotti ad esaudire il mio desiderio: Falestar è in splendida forma e conferma le vivaci capacità di questo vitigno quando è lasciato libero di esprimersi senza le repressioni della vinificazione convenzionale. Segue il mitico Birichen di Al di là del Fiume, cantina biodinamica a sud di Bologna, acidità e freschezza a secchiate che con il caldo che fa mi rimettono in vita.

E come non raccontarvi le bolle stratosferiche che ho trovato al banchetto di Camillo Donati. In particolare ricordo l’assaggio del suo Ribelle: una barbera rifermentata acida e animale al punto giusto, un vino esplosivo che meglio non potrebbe rappresentare tutta la linea di questo grande vignaiolo parmense. E visto che purtroppo qualche suo vino era già finito al mio arrivo non c’è dubbio che il prossimo anno non me lo farò più sfuggire.

Si perché soprattutto non c’è dubbio sul fatto che vorrò tornare anche il prossimo anno, dove la trovo un’altra festa così?