Azienda Agricola De Fermo
Non è la prima volta che vi parlo dell’azienda agricola De Fermo e non sono solita ripetermi. Ma
in occasione di una bellissima degustazione organizzata da Hic Enoteche ho passato alcune ore con il suo proprietario e vignaiolo Stefano Papetti e sento di avere ancora qualcosa da dirvi.
Trasferitosi da Bologna per amore di una donna abruzzese, Stefano da oltre 20 anni si è perfettamente ambientato nella ruralità delle colline dell’entroterra Pescarese e lì conduce ben 170 ettari di terreno che fanno dell’azienda De Fermo la più grande azienda biodinamica del centro Italia. Un’azienda agricola a 360 gradi che spazia dai cereali, ai legumi, agli alberi da frutto e agli olivi (imperdibile anche il loro olio EVO, n.d.r.).
Ma il vero carburante per l’azienda sono i 16 ettari vitati con le varietà tradizionali della zona – Pecorino e Montepulciano – a cui si aggiunge un piccolo appezzamento con piante di Chardonnay arrivate in Abruzzo nel 1926 e poi ripiantate per selezione massale.
Stefano ci racconta di un vino agricolo, più che di un vino naturale, inteso come frutto di lavoro nei campi e da contrapporsi al vino come prodotto industriale. Non un vino biodinamico, ma un vino frutto di pratiche biodinamiche che altro non sono che un mezzo per mantenere la fertilità e la salubrità del terreno e per trasferirne la vitalità nel prodotto finale. Biodinamica e non solo, anche tanto studio del territorio e della sua storia che ha portato Stefano a recuperare e preservare pratiche tradizionali contadine sia per la campagna sia per il lavoro in cantina dove i metodi contadini abruzzesi sono ancora gli unici ad essere utilizzati in quella che definisce una vinificazione conservativa. Torchi verticali, rese bassissime, grandi contenitori inerti per lo più di legno, o cemento, solo una pompa per i travasi.
Durante questa trasferta milanese Stefano ha portato con sé l’ultima annata del suo Pecorino in purezza Don Carlino. Un bouquet fiorito e intenso di salvia e lemongrass accompagnato da una leggera nota lattica prelude a un sorso asciutto, verticale sostenuto e allungato da una robusta mineralità e un’elegantissima acidità. Un vino buono oggi ma che avrà molto da dire anche nei prossimi dieci anni almeno.
Poi è stato batticuore con il suo Cerasuolo Le Cince. Amo questa categoria di vino, un rosato tradizionale e non un ripiego enologico per completare la linea aziendale. Un vino contadino dovuto dalla necessità di alleggerire il Montepulciano nelle lunghe estati torride. Un vino voluto, pensato e tanto amato questo Le Cince 2018: una vera spremuta di campagna, dal naso che armonizza note floreali sottili, ma soprattutto tanta frutta e una leggera nota caramellata sul finale, al sorso che è un carosello di sapori, ancora tanta frutta, fieno, erba e una divertente nota animale sul finale.
Chiusura ad effetto con il Prologo 2016, Montepulciano in purezza. Un vino per cui non basta un assaggio, ma andrebbe bevuto piano nei giorni per apprezzarne l’incredibile evoluzione. Un vino che parte piano, ma sa esattamente dove arrivare con quella nota ruvida e salmastra che non ti si leva più dal palato. Ancora una volta un vino che avrà molto da raccontarci nei prossimi anni per chi sarà così lungimirante da aspettare.
Tre vini che, rubando ancora le belle parole di Stefano, non sono per nulla rassicuranti. Tre vini che saranno diversi ogni anno portando dentro i segni del clima, del tempo e di tutte quelle scelte
prese dal contadino durante il corso di tutta un’annata, dalla potatura alla vendemmia. Puro istinto e sensibilità, non c’è una regola né tanto meno una ricetta. Questo è il vino vivo.