Fanny Sabre – Bourgogne 2017
Lavoro precario, previdenza fasulla, governo ladro. Le disgrazie sociali di noi millenials devono essere sembrate ancora poche a qualcuno, ed ecco quindi una pandemia globale che ci darà un lavoro precarissimo, una previdenza fasullissima e un governo, vabè che ve lo dico a fare. Un futuro fuori fuoco e un presente vacillante richiamano il bisogno di punti di riferimento. Elementi che nella loro semplicità, ma durevolezza, non ci tradiranno mai. Zattere fisiche ed emotive in un mare che ha perso l’orizzonte.
Ho pensato a tutto questo mentre bevevo il Pinot Nero di Fanny Sabre per la seconda volta (la prima ve l’ho raccontata qui ed è stato amore a prima vista).
Ho pensato che tra mille sgranature io una certezza ce l’ho: il Pinot Nero di Fanny Sabre è buono. Il buono assoluto, fatto di nitidezza, bellezza ed eleganza. E poi questo Pinot Nero è simpatico, scivola immediato e sincero lasciando da parte austerità e rigore. Perché è una mano leggera quella di Fanny: macerazione carbonica per alcuni giorni, poi affinamento in legno esausto. Un frutto scalpitante al naso si distende in un sorso etereo, allungato, gentile a raccontare un terroir fatto di suoli calcarei, di vigneti cinquantenni e di tradizione. E io sono semplicemente rimasta ad ascoltare convinta che, ragazzi, finchè c’è Pinot c’è speranza.