Al di là del fiume – Zirudela
Martedì inizia Sanremo e io, per restare in tema, ho stappato un’Albana. Scusate non ho resistito.
Un vitigno ben lontano dalla nazional popolarità del cantante con cui condivide cinque lettere, ma molto conosciuto in passato tanto da essere citato negli scritti di Catone e Plinio il Vecchio. E pare che siano stai proprio i romani ad averlo nominato Albana in riferimento ai Colli Albani di cui sembrerebbe essere originaria, prima di affondare definitivamente le sue radici sulle rive del Rubicone.
Un vitigno oggi non più così noto dicevo, vittima – come tante altre varietà – del boom del vino industriale a partire dal secondo dopoguerra forse perché, sulla carta, meno accattivante e blasonata dei tanti Chardonnay, Sauvignon e Pinot Grigio che hanno inondato gli scaffali e le tavole. Eppure un vitigno di grande carattere e spessore, con un muscolo forte di polpa e tannino sotto ad un corredo ricamato dai profumi di fiori di campo e di miele. Un’uva ed un vino che mi ricordano il contadino con l’abito buono il giorno della messa.
L’azienda biodinamica Al di là del Fiume di Marzabotto con Zirudela interpreta la tempra partigiana di questo vitigno con l’utilizzo della macerazione carbonica a grappolo intero in acciaio ottenendo sì un vino quotidiano e fresco ma anche intriso di aromi primari intensi che vanno a braccetto con i tannini verdi e vibranti del raspo.
Tempo fa mi è capitato di leggere un breve scritto di salvo foti, vignaiolo sull’Etna, in cui suggerisce di includere anche l’udito nei sensi coinvolti in una degustazione. Bevendo questo calice ho capito davvero cosa intendesse dire Salvo, quest’albana sembra canticchiare, quasi i cristalli di sale vibrassero rumorosamente nel bicchiere mentre la si versa. Un’Albana che sembra raccontarti una filastrocca, una zirudela come si direbbe in romagnolo.