Calogero Caruana – Vino Bianco 2018
La è ‘Nzolia (Pascal o Caruana?)
Stavo pensando a quanto sia curioso che uno dei vini che più mi hanno colpito negli ultimi mesi si chiami – secondo l’etichetta – semplicemente Vino Bianco. Mi chiedo: è un vino bianco quello che ho bevuto? Tranquilli, non sono daltonica e la domanda vuole essere una provocazione. Provo a riformularla, penso che “vino bianco” sia coerente con quello che ho bevuto? Rispondo provocando ancora di più. Secondo me il primo vino con cui Calogero Caruana si presenta come vignaiolo indipendente si potrebbe addirittura chiamare unicamente Vino. Quasi ogni ulteriore tentativo di classificazione in una specifica categoria di prodotto – e quindi di mercato – possa implicitamente togliere significato anziché aggiungerlo.
Stiamo ai fatti. Il vino di Calogero si può definire bianco in quanto prodotto in purezza con un’uva autoctona siciliana l’Inzolia, che è bianca oltre ogni ragionevole dubbio. Ma è anche molto di più.
Così mi sono trovata a pensare – giuro tutto questo dopo mezzo bicchiere, ancora in pieno possesso delle mie facoltà – che Calogero, che non conosco di persona ma con cui ho avuto una bellissima chiacchierata al telefono, è agrigentino come uno dei miei scrittori preferiti, Pirandello. La fu ‘Nzolia Pascal: ricalcando le orme del grande narratore, il suo Vino Bianco, la sua ‘Nzolia, possa leggersi come una rinascita, una seconda (o terza, quarta, boh) vita di una grande uva.
Non ricordo nei dettagli la trama del Fu Mattia Pascal, era piuttosto intricata con tanti piccoli meschini personaggi alle prese con le loro vitarelle e peccatucci. Ma ricordo tra loro il protagonista – Mattia appunto, un eroe romantico fuori dal tempo – che costretto dai fatti contingenti prova a fingersi morto per ben due volte con la speranza di cambiare vita. Nel romanzo la storia finisce male e la “morale” che ci si porta a casa terminata l’ultima pagina è che non si può beffare il destino, siamo in un certo qual senso condannati ad una ed una sola esistenza. E come il povero Mattia, anche l’Nzolia fino a qualche anno fa sembrava piuttosto condannata ad una scialba esistenza.
Originaria forse della Francia, in tempi antichissimi l’Inzolia arriva per nave in Sicilia, isola felice dalla quale poi si diffonde in Sardegna e sulla costa toscana dove inizia una delle sue nuove vite con il nome di Ansonica o Ansonaco sull’Isola del Giglio. Partecipe per anni insieme a Grillo e a Catarratto alla magia ossidativa e fortificata del vino di Marsala proprio a al declino sul mercato di questo prodotto unico nel suo genere si deve la sua prima morte. Passano quindi due guerre ed è a partire dagli anni 70 che torniamo a sentire parlare di questo vitigno, con la sua nuova vita nel solco e nelle promesse (vane) della vinificazione industriale che andava sempre più diffondendosi nell’isola. Dell’Nzolia di un tempo sembrava essere rimasto solo il ricordo, un finale pallido e anonimo per una grande uva, ormai resa banale e noioso fantasma di se stessa. Una nuova vita sì, ma già moribonda, una vita rassegnata.
Calogero con il suo piglio e il suo estro sembra aver voluto riscrivere il finale di questa storia, resuscitando un gusto, una tradizione ed una terra e dando la possibilità a questo vitigno di riscattare la sua indole e la sua autenticità. A partire dal colore del suo vino, ambrato, intenso, assolato: la prima cosa a colpirmi durante l’assaggio. Il colore di un vino oggi vivo e ruggente. Assaggiandolo parte un carosello di sapori, l’agrume e la cannella, il fico e il candito ricamati punto dopo punto su una tela di fitto tannino maturo e una nota ossidativa (omaggio al Marsala che fu?) a chiudere il sorso insieme a leggere note vanigliate.
Per me tutto il vino si gioca su due livelli, quello fresco e immediato di un vino autentico e contadino ed un secondo profondo, intensamente intenso di un sapiente vino di terroir. Due sapori, due livelli, eppure tre vinificazioni mi racconta Calogero che per questo suo “debutto in società” dopo anni di esperienze nelle cantine di altri – tra cui quella di Stefano Amerighi a Cortona ultima e più significativa esperienza che ne forgia il suo carattere intimamente rossista – non ha certo voluto risparmiarsi. Una parte dell’uva, quella della vigna più giovane, è stata raccolta con un po’ di anticipo e lasciata ad affinare in acciaio con formazione flor, le uve della vigna vecchia invece in parte sono state pigiate con piedi e lasciata a macerare, una parte sono state lavorate in macerazione carbonica. Le masse che fanno macerazione sono poi state affinate in legno con batonage. Dopo un anno, l’assemblaggio per ottenere Vino Bianco. Questo per la 2018, la 2019 chi lo sa (*)?
Tante vinificazioni, che mi appaiono come tante personalità capaci però di trovare nel bicchiere potenza e soprattutto interezza. Penso anche a “Uno, nessuno, centomila”, al finale di “Così è se vi pare”, a quella Verità che tanto sembrava perduta al grande drammaturgo in un cosmo di falsità e menzogna. La vedo invece nel mio bicchiere come un passaggio di consegna, dal romanzo alla terra. Un finale diverso. O meglio ad un incipit di un nuovo racconto: la è ‘Nzolia (Caruana)?
(*) La 2019 è in uscita a brevissimo insieme anche ai nuovi vini – da tradizione Grillo, Catarratto e Nero d’Avola – che andranno a costruire piano piano l’identità di questa nuova azienda a Montallegro, a metà strada tra Sciacca ed Agrigento.