Oxer Wines – Marko Gure Arbasoak
Sarà il caldo ma sono stanchissima. Così ho preso l’abitudine di concedermi a fine serata un bel bianco fresco, defaticante, per riposare. Niente, questa etichetta era troppo curiosa per farmi staccare davvero il cervello e così mi sono cacciata in un pasticcio più grande de caldo, abitudine che mi è abbasta familiare devo ammettere. Forse devo anche ammettere per prima cosa che, avendo letto solo di sfuggita il retro-etichetta, pensavo di bere un vino sloveno, tanto incomprensibile mi era apparsa una lingua costruita su sottili impalcature di X e Y e Z e di XYZ e persino di YZTX tutte insieme, che non oso immaginare che suono possano fare una volta pronunciate.
Vado sull’internet quindi a capirci qualcosa in più, perché il vino era buono, molto buono. In primis cerco di individuare la cantina finendo per aprire pagine web incomprensibili anche più del retro-etichetta e mandando in tilt l’antivirus. Una gran fatica insomma, tutto perché non avevo considerato non tanto il triangolo ma i paesi baschi! Perché è proprio lì che Marko Gure Arbasoak è nato, a ridosso della costa settentrionale della Spagna, in un piccolo borgo atlantico – si chiama Kortezubi, io comunque non lo sapevo che il basco sembrava russo – vicino alla città di Guernica, esattamente a metà strada tra i surfisti stanziati a San Sebastian e l’arte contemporanea di Bilbao. Insomma, uno di quei paesini che andrei a visitare molto volentieri, magari in agosto, sfuggendo alle mete più gettonate.
Scopro traducendo a spanne dallo spagnolo che non parlo che la cantina che lo produce si chiama Oxer Wines, ha iniziato a vinificare nel 2009 comprando uve e poi, complice il successo dei loro primi prodotti, ha scelto di reinvestire gran parte del ricavato nell’acquisto di vecchi vigneti, anche centenari, nella regione della Rioja Alavesa.
Così mentre penso che la Spagna del vino, negli ultimi mesi, mi stia riservando grandi sorprese (il mio incontro con lo xarel-o qui!) e che forse ho deciso dove andare in vacanza scopro sul sito di Oxer Wines che esiste anche un fratellino minore di Gure, che in amicizia chiameremo solo Marko e che a differenza del maggiore viene vinificato solo in acciaio con un periodo di quattro mesi sulle fecce fini. Vi vendo come l’ho letto il fatto che i baschi pare nutrano grande amore per l’ambiente in cui vivono tanto da antropizzarlo dando nomi propri a animali, oggetti e case: Marko è infatti la casa della famiglia Oxer, quella attorno a cui si sviluppa il vigneto che utilizzano per il vino.
Nel frattempo, però, dicevamo, mi stavo bevendo Gure e mi incanto a pensare come dentro alla sua cinica e citrica corazza s’avviluppi una trama più ricca, più maestosa e festosa. Mistero presto svelato: in Gure, rispetto al fratellino, le stesse uve vengono fatte fermentare per un terzo in inox e per due terzi in barrique di rovere francese. Seguono sette mesi di affinamento in botti di rovere esauste.
E le uve? Vi ricopio i nomi dall’internet: 45% Hondarribi Zuri Zerratia (Petit Courbu), 40% Hondarribi Zuri (Gros Courbu) e 15% Izkiriota Txikia (Petit Manseng). Continuando a navigare scopro che Hondarribi per i vicini francesi si chiama Corbu (clone Gros, mentre Zerratia indica Petit) mentre Izkiriota altro non è che il Petit Manseng. Che poi il Corbu chi l’ha mai sentito? Infatti Pare si tratti di una varietà a bacca bianca (ma forse esiste anche il Corbu Noir, non ho avuto tempo di approfondire) originaria appunto della Francia sud-occidentale che, dopo aver quasi rischiato l’estinzione, negli ultimi vent’anni sta venendo via via riscoperta. Un Timorasso d’oltrape, mi viene in mente, ma gli esempi potrebbero essere tantissimi altri.
Ecco, tutto questo ammasso di informazioni, nozioni, suggestioni, racconti, luoghi, solo per aver scelto una bottiglia a caso dallo scaffale. Ecco, non chiedetemi più perché mi piace il vino. Mi permette di considerare e riconsiderare.