Cantina Rarefratte
Ripetete con me, Ra-re-frat-te, Ra-re-frat-te.
Rarefratte. Ripetetelo fino a farlo diventare una filastrocca, un mantra. Un ritornello con cui giocare a campana nei pomeriggi di fine inverno, quando il sole arriva inaspettato e ti fa compagnia. E in gioco hanno deciso di mettersi Cristian e Arianna quando nel 2012 decidono di diventare viticoltori dando nuova vita alle tante varietà autoctone che rischiavano di scomparire nel loro territorio, e così, attraverso un’agricoltura delicata e attenta, anche a loro stessi.
Dopo averli conosciuti a Vini di Vignaioli nel 2019, li ho ritrovati a Varano de Melegari nel 2021 riconfermando il mio entusiasmo per gli assaggi fatti un paio d’anni prima e scoprendo un nuovo arrivato a gattoni nel loro microcosmo agricolo e anche un nuovo vino, una riserva.
Ma facciamo un passo indietro. Il vigneto di Rarefratte è nella zona di Breganze, nell’alto vicentino. Una piccola palestra dove mettere in pratica un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e al tempo stesso anche un nuovo modo di intendere il valore del lavoro, del tempo, della vita. Nella realtà di Rarefratte si fondono i valori e principi di Cristian come persona e quelli di Cristian neonato viticoltore che raccogliendo i racconti di esperti e contadini cresce e matura fino a riuscire ad imbottigliare il risultato delle sue tante prove, prima annata 2019.
Il loro è un approccio che definirei puro-minimalista: tutti i vini sono mono-varietali da piante semiscomparse. Gruaja, Pedevenda, Groppella di Breganze, Marzemina Bianca, Vespaiola, Glera lunga: sopravvissuti a due guerre, queste varietà autoctone stavano rischiando di venire schiacciate per sempre dalle imperanti modalità capitalistiche e dalla moda per gli internazionali. Come reduci invece, ci arrivano nel bicchiere senza abbellimenti e con i segni di qualche ferita.
Penso alla loro Vespaiola in purezza: vino crudo, che abbraccia al naso e mostra gli spigoli sporgenti in bocca dove è il sale a dare vita alla sua anima generosa ed onesta. Un vino quotidiano, dall’indole tipicamente veneta per
la quale una bottiglia non può rimanere piena per più di trenta minuti.
Il nuovo vino invece è meno ossuto dei suoi compagni d’avventura. La Pedeveska, voluto gioco di parole tra l’autoctono Pedevenda e la Vitoska carsica, territorio a cui Cristian si è ispirato anche per la sua vinificazione con 6 giorni di macerazione sulle bucce. Con il suo equilibrio, il tannino giusto, il frutto ponderato, si fa baricentro e rimette la palla al centro in una goliardica partita a biliardino tra Italia e Slovenia.
Rarefratte per me è questo, scavallare le consuetudini e andare dritto al sodo: alla sete di tutte quelle persone, che come loro e le loro uve, hanno fatto e fanno la resistenza.