Di quella volta a Berlino con i vini sardi
Prosit! e le (un)cut gems della nuova generazione sarda
– perchè di muri non ne vogliamo più-
“Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo”
F. De Gregori
Parto dalla fine.
Io che, seduta insieme ad Anna Lai, racconto quattro etichette di vino sardo a un coreano, un tedesco, un’italiana e un polacco che parla romano. Perché è il fidanzato della italiana, e l’Italia è contagiosa. Sono a Berlino, e sto guidando la degustazione “(un)cut gems: new interpretations of the sardinian classics” durante la prima edizione di Prosit!, piccola fiera mercato allestita all’interno del Markthalleneun, mercato coperto nel quartiere Kreuzberg, molto apprezzato dai berlinesi alla ricerca del prodotto biologico, buono e sostenibile.
Al mio fianco dicevo, Anna Lai, sarda di Gavoi, trapiantata all’ombra della Porta di Brandeburgo e che da oltre dieci anni gestisce – insieme al socio Toby Bürger – un piccolo spazio di cibo e altri ristori proprio all’interno del Markthalleneun. Anna e Toby sono appassionatissimi di vini (hanno preso in gestione una piccola vigna a Bosa, ndr.) e durante il lockdown, al posto di lasciarsi andare allo sconforto hanno deciso di investire i loro risparmi nella creazione di una realtà – sempre a Berlino – che potesse contenere la loro passione.
Così le bottiglie stipate al mercato hanno trovato casa in un piccolo locale in Falckensteinstraße che ha già tutta l’aria di essere diventato punto di riferimento per il vicinato. Il nome l’ha inventato Toby. “Per entrarci” mi racconta “devi scendere 6 scalini sotto il livello della strada. Quando l’ho visto, ho pensato: questa non è una cantina, è solo mezza. L’ho detto ad Anna nel mio buffo italiano.” E così Mezzacantina è stato.
Il corner Bigstuffsmokedbbq al mercato è invece da sempre territorio del vino sfuso, venduto al calice o in bag-in-box da portarsi a casa.
Ovviamente vino sfuso naturale, buono, ad un prezzo sostenibile, in linea con la filosofia di luogo. Da sarda, per Anna è stato spontaneo rivolgersi ai suoi conterranei, e così i primi bag-in-box ad arrivare al mercato sono stati quelli della cantina Sa Defenza, a Sud dell’isola, nella pianura del Campidano.
E lo sfuso al mercato è un successo. Tanto che, incuriosita dalla possibilità di introdurre nuove referenze, ecco che Anna mi conosce virtualmente leggendo il mio articolo SiamoSfusi, elenco delle realtà naturali in Italia a cui rivolgersi per approvvigionarsi di sfuso sostenibile ed economico. Primo link dell’articolo quello a SfusoBuono, il primo ecommerce italiano di vino sfuso naturale, avviato in piena pandemia dalla mia amica Alessandra Costa. Il gioco è fatto: dream-team tutto al femminile composto. Alessandra è reclutata con me nell’avventura berlinese e si è rivelata non solo amica – questo già si sapeva – ma compagna di viaggio inarrestabile. Ragazzi la nightlife berlinese non scherza eh! Già dal venerdì abbiamo cominciato con una cena nel bistrot JAJA a suon di grandi bottiglie francesi in compagnia anche di Pietro di Sa Defenza, atterrato anche lui a Berlino per l’occasione a raccontare in prima persona il suo lavoro agricolo ed in cantina. Poi drink al TierBar dove servono pure gli occhiali 3D per leggere il menù.
Insomma, non ci siamo fatte mancare niente e più o meno vive siamo arrivate alla campale giornata di domenica. Ognuna impegnata nelle proprie attività di divulgazione, io e Alessandra abbiamo però condiviso insieme, fianco a fianco una delle esperienze più emozionanti di questo lungo weekend, la tavola rotonda della domenica pomeriggio condotta da dal titolo “THE FUTURE OF WINE AND HOW CAN I AS A CONSUMER CONTRIBUTE TO SUSTAINABILITY?”. Con noi, neanche a farlo apposta, ancora un’altra ragazza super determinata, Deadra Anderson, classe 1994, impegnata in un business tedesco di vino naturale alla spina Ebb & Flow Keg.
Un’ora super emozionante, dicevo, in cui ho ascoltato e imparato molto e in cui, non chiedetemi come, sono riuscita a citare Amleto: “To be or not to be. To do or not to do. Natural wine comes from the hard choice of not doing. It is risky but it is worthy.” Un’ora in cui ho potuto discutere I temi che più mi stanno a cuore nel consumo del vino naturale: la sostenibilità, il basso impatto ambientale, la tutela del territorio e di chi ci lavora. Come scrivo spesso, bere vino naturale è una questione di gusto, ma anche di gesto.
Ricordo i fiori ricevuti alla fine della chiacchierata. Pensavo succedesse solo a Sanremo, o che comunque non sarebbe mai capitato a me. Frastornata e sinceramente emozionata arrivo al famoso tavolo di degustazione di cui vi parlavo all’inizio, ultimo capitolo della mia avventura alemanna. Una bella sfida per me: quattro vini dalla Sardegna che mi sono messa a studiare ed approfondire in prima persona.
Una sola isola, in mezzo al Mediterraneo. Un’isola che però da Nord a Sud copre un arco di 400 chilometri. Cosa significa? Vuol dire riposarsi nel paradiso terrestre abitato dalla coppia sardo-brasileira di Deperu Holler sulle sponde del lago Coghinas, indossare la felpa sulle alture dimenticate della Barbagia dove si nasconde Pier Graziano Sannas, discendere sugli antichissimi suoli vulcanici dove crescono le vigne centenarie di Marco Schirru e infine affrontare l’afa del Campidano, l’ultima pianura prima del mare nella cantina di Sa Defenza a pochi chilometri dal capoluogo del Sud, Cagliari.
Quattro luoghi, quattro vignaioli, quattro vini che più diversi non si potrebbe. “Come i cani assomigliano al padrone, i vini naturali finiscono per assomigliare a chi li produce.” Dice Anna e mi trova totalmente d’accordo.
Ed ecco, per i curiosi, le quattro etichette delle (un)cut gems of sardinian wines
Prama Dorada – Cantina Deperu Holler
“Semu figios de su bentu”. Siamo figli del vento. Così si presentano sul sito web della cantina i proprietari Carlo Deperu, sardo, e Tatiana Holler, brasiliana. Si sono conosciuti a Milano, ma ci sono rimasti poco. Il vento qui sulla costa Nord è il Maestrale e non smette mai di soffiare. Entroterra di Sassari, un paesaggio che non ha molto da invidiare al Paradiso Terrestre: il mare, poi le colline, il Monte Ruiu e il lago Coghinas, infine le vigne di Deperu-Holler. Solo a vederne le foto ci si sente già più in pace con il mondo. Prama Dorada è il bianco ottenuto da uve Vermentino con l’aggiunta di altre varietà bianche antiche. Viene fatto macerare per almeno una settimana e prosegue il suo affinamento in legno con batonnages che vanno a “ingrassare” il sorso, a dargli una spiccata impronta gastronomica, soprattutto con l’arrivo del finale salato a preparare un altro sorso, ancora ed ancora.
Maria Pettena – Cantine Sannas
Piergraziano fa vino a Mamoiada solo da pochi anni. Mamoiada, comune della Barbagia, devastato negli ultimi vent’anni da una crudelissima faida interna e che ora – sterminate le famiglie, ahimè – vive una nuova giovinezza fatta di cultura e agricoltura (che si sposano piuttosto bene, si sa). Parlando di Cantine Sannas bisogna innanzitutto cambiare punto di vista, i vini di Piergraziano non sono vini di mare. Mamoiada per i sardi è montagna, qui il clima si fa continentale con inverni freddi ed estati piuttosto calde e le vigne crescono anche a 600-700 metri sul livello del mare. Maria Pettena è la strega che rapisce i bambini se non fanno il riposino al pomeriggio, ma escono quando il sole è forte. A lei
Piergraziano dedica il suo vino rosato, donandogli una veste mistica ed apotropaica. Mosto fiore di uve Cannonau ripassate sulle bucce di un’antichissima varietà bianca sarda, la Granatxa. Niente di più innovativo e personale. A partire dal colore, un rosa tenue che ogni volta mi fa venire in mente l’immagine leggiadra delle ballerine di Degas. Il sorso è unico, poco inquadrabile, indimenticabile. Una Sardegna personale ed inaspettata, promessa di un futuro riappacificato in una terra tanto martoriata.
Sa Cava – Cantina Sa Defenza
Partiamo dalle basi. “Sa” in sardo è l’articolo determinativo femminile. Quindi sa cava significa la cava, perché il vigneto si trova appunto in prossimità di una cava in una zona particolarmente umida della pianura del Campidano dove da oltre dieci anni vinificano i fratelli di Sa Defenza. Un’umidità magica che si traduce ogni anno nella formazione della Botrytis cinerea, muffa nobile, quella del Sauternes per intenderci. La muffa attacca gli acini dall’interno, arricchiendoli di sentori affumicati e complessi che Sa Defenza sceglie di estrarre attraverso una lunga macerazione in acciaio. Sa Cava è un Vermentino sfaccettato, mai dolce ma con evidenti virgole che tendono al candito, al caramello. Grado alcolico importante – il Campidano è una delle aree più calde dell’isola – sostenuto da una acidità volatile a creare un Vermentino suis generis, da contestualizzare insieme a un formaggio stagionato o persino una seadas calda.
Sogno n°2 – Schirru
O son desto? Unica etichetta di rosso in purezza questa che Marco Schirru dedica al re dei vitigni rossi sardi, il Cannonau. Per anni considerato autoctono spagnolo importato sull’isola dai naviganti, recenti analisi su alcuni semi antichi ritrovati ne attestano invece la completa “sarditudine” incoronando il Cannonau a vitigno più antico del bacino Mediterraneo. E il bagaglio storico di Sogno n°2 non si ferma qui. Le uve, infatti, provengono da vigneti centenari che Marco ha recuperato e propagato con il sistema massale per preservarne il patrimonio genetico ancestrale. Le vigne inoltre provengono dall’entroterra di Orroli, nel Sarcidano, un’antichissima area vulcanica che arricchisce di mineralità il vino. Sogno n°2 chiude la batteria restituendo nel bicchiere una fotografia vivente ed animata del cuore più antico dell’isola, ancora incontaminato e pervado di magia e fascino.
Sono stati quattro giorni folli, in cui si è dormito poco e parlato molto, conosciuto così tante persone da aver perso il conto, ognuna con le sue origini, il suo percorso e il suo amore per il vino. Viene da chiedersi come sia possibile che in una città oggi così interattiva, dinamica, contaminata abbiano potuto tirare su un muro, dividere i fratelli, i cugini, le famiglie. Forse la creatività multietnica di Berlino è così forte e trascinante anche per quello, per il bisogno di cancellare in fretta una memoria in fretta, ubriacarsi di vita per dimenticare la morte e la solitudine. E i resti del muro che sono andata a visitare nell’ultimo pomeriggio prima di ripartire, così colorati di graffiti meravigliosi mi sono sembrati proprio questo: un tatuaggio su una ferita che, rimarginata, rimarrà a memoria collettiva. Perchè no, di muri non ne vogliamo più.
Sempre splendidi i tuoi post, complimenti, Dan